Sapori

Milena, un piccolo scrigno che custodisce un grande pasticciere: Salvatore Palumbo

Nell’ancora incontaminato paesaggio interno della Sicilia, sulle colline bagnate dal fiume Platani e dal torrente Gallo d’oro, si trova la piccola e caratteristica cittadina di Milena. La sua particolare struttura urbanistica – costituita da un insieme di tredici cascinali detti “robbe” ruotanti attorno al centro urbano – l’ha resa famosa sin da quando si chiamava Milocca. Luigi Pirandello vi ha ambientato due belle novelle e l’ha citata anche nello storico romanzo de “I vecchi e giovani”. Leonardo Sciascia, nelle sue opere dedicate alla Sicilia e alla sicilianità, vi fa più volte riferimento parlando del “Paese delle robbe” confinante con la sua Regalpetra. Ma è la ricerca antropologica condotta dall’americana  Charlotte Gower Chapman a dare il senso dell’importanza che questo singolare comune, in provincia di Caltanissetta,  ricopre nella vasta e complessa cultura dell’identità siciliana. La studiosa statunitense, alla fine degli anni Venti,  su incarico dell’Università di Chicago, si stabilì per un anno e mezzo in questo paesino della Sicilia. Dalla sua esperienza di vita, la Gower Chapman scrisse il libro “Milocca a sicilian village”, un eccellente saggio entnico-antropologico  dedicato agli usi e costumi del popolo siciliano che venne adottato in numerose università straniere. Milocca quindi – denominata Milena in onore della regina del Montenegro, suocera di Vittorio Emanuele III –  è uno scrigno di sicilianità grazie all’arcipelago dei suoi villaggetti rurali dove si è esaltata e conservata al meglio la civiltà contadina. Orgoglioso figlio di questo mondo e straordinario interprete della più autentica tradizione dolciaria del territorio è il maestro Salvatore Palumbo, titolare della pasticceria Dolci Creazioni che si trova proprio nella piazza centrale del paese, accanto alla chiesa Madre.

Da quello che so già io della la tua storia professionale, possiamo affermare che pasticciere non si nasce, ma si diventa! Vero Salvatore?

“Sì, in effetti, io ho iniziato l’attività dolciaria relativamente tardi, all’età di 25 anni, quasi per caso o per un destino che si era stancato di aspettarmi. Ma una volta effettuata la scelta, mi sono buttato a capofitto nell’impresa di diventare un vero professionista. Incoraggiato dal mio carattere che non ha mai temuto la fatica del sacrificio e che ha sempre preteso il meglio innanzitutto da me stesso. E poi, motivato da quella che possiamo chiamare sana ambizione, ho bruciato le tappe della formazione. Oggi, dopo 30 anni intensi di questa attività, mi posso permettere di dire che pasticciere non si nasce, si ci diventa: però, per riuscire bene, devi avere qualcosa nel sangue e nel cuore. Quello che in un certo senso ho avuto io, quando già all’età di 7 anni aiutavo mio padre nei campi. Non mi piaceva quel lavoro, perché provavo la sensazione di faticare per niente, senza avere alcuna prospettiva futura.  Non potrò mai dimenticare le invocazioni che da bambino rivolgevo al Signore per scansarmi il lavoro domenicale, mi addormentavo la sera pregando Gesù: “dumani, avissi a chioviri! Avissi a chioviri! Avissi a chioviri! – Domani speriamo che piova! Che piova! Che piova!”. La pioggia era la mia salvezza e lo è stata fino all’età di tredici anni, quando lottando contro il volere di mio padre, decisi di accogliere l’invito di alcuni vicini di casa che mi proposero di andare a lavorare in un ristorante a Taormina. Ho lavato i piatti: una montagna di piatti e stoviglie per tutta la stagione. Ma lo feci con amore e determinazione perché sapevo che presto sarei stato promosso ad altre mansioni. Infatti, la stagione successiva ero già aiuto cuoco e la stagione seguente mi fu affidata non solo la cucina, ma addirittura l’intera gestione del locale. Il titolare possedeva ben altri tre ristoranti nella zona di Taormina ed io – anche se non ero ancora maggiorenne – ero diventato  nel giro di pochi anni il numero uno della  sua Steack House nel centralissimo corso Umberto. Sono stati anni formidabili che mi hanno fatto crescere in fretta. Da ottobre a maggio studiavo all’Istituto Professionale  “Galileo Galilei” di Caltanissetta per conseguire il diploma di perito meccanico e nei lunghi mesi estivi, senza neanche un giorno di riposo, ero in trincea a Taormina a combattere dietro ai fornelli, a coordinare il personale e a contrattare con i fornitori. Dopo cinque anni di questa logorante esistenza mi sono trovato nel bel mezzo di un bivio: continuare ad accettare responsabilità molto spesso più grandi di me e per conto di altri o ritornare a Milena tra i veri affetti della famiglia e degli amici e iniziare una nuova vita all’insegna della libertà e della serenità”.

E cosa hai fatto al tuo ritorno in paese? Hai aperto subito la pasticceria?

Salvatore Palumbo e la moglie Lina

“No, all’inizio ho fatto il rappresentante per un’importante azienda di distribuzione generi alimentari e poi ho trovato il coraggio di investire tutti i risparmi accumulati aprendo un innovativo snack bar nel centro di Milena. Allora, nel 1982, un locale diverso e moderno com’era il mio, ebbe immediatamente un grande successo. I clienti venivano anche dai comuni limitrofi e persino da Caltanissetta e Agrigento. L’attrazione era dovuta alle tante novità importate dalla mondana Taormina: l’ambiente curato con degli invitanti salottini, cocktail e long drink di qualità, birra alla spina, frullati, frappé… In meno di un anno rientrai nelle spese dell’investimento. Poi un pasticciere di fuori provincia che settimanalmente veniva a Milena mi propose con entusiasmo di allargare l’attività aprendo in società con lui un laboratorio di pasticceria. In paese, in effetti, di pasticcerie non ce n’era neanche una. L’idea quindi mi piacque moltissimo e il socio mi ispirava fiducia e sicurezza. Reinvestii così il mio piccolo capitale rinforzato da un mutuo per l’acquisto dei macchinari. Solo che dopo appena pochi mesi dall’inaugurazione, il socio si volatilizzò lasciandomi nello sconforto di dover gestire contemporaneamente sia il bar che la pasticceria. Ho avuto la fortuna di vendere quasi subito il bar; e la forza di rimboccarmi le maniche per intraprendere a tempo pieno la professione di pasticciere. Tutto ciò che era inerente le principali specialità caserecce della tradizione siciliana l’ho appreso da mia madre, mia nonna e dalle più brave casalinghe milocchese: cannoli, spinci, buccellati, biscotti di mandorla… Le cassate e un po’ di torte più elaborate ho imparato a farle grazie alla consulenza di alcuni pasticcieri del capoluogo. Ma il salto verso la vera dimensione professionale l’ho fatto quando iniziai a frequentare con costanza e meticolosità  gli stages organizzati dalle più importanti aziende del settore come: Cast Alimenti, Cresco, Irca… Apprendere tecniche e metodi di lavorazione dalla viva voce di famosi maestri del calibro di Iginio Massari e Achille Zoia mi ha aperto orizzonti straordinari facendomi innamorare sempre più dell’arte dolciaria. E’ stato un po’ come se all’inizio dell’attività suonassi solo ad orecchio e dopo quei preziosi corsi avessi imparato a leggere lo spartito. E da allora, la “musica” è cambiata in qualità, varietà e  quantità. La nomea della pasticceria del piccolo paese di Milena sì è infatti diffusa sempre più conquistando un’ottima clientela oltre il territorio locale e intraprendendo anche una significativa vendita nel nord d’Italia e all’estero, soprattutto nelle città dove sono presenti le forti comunità milocchese come Asti ed Aix-les-Bain”.

Quale ruolo giocano le materie prime nella tua produzione e quali sono le specialità più richieste dalla tua clientela?

“La qualità della materia prima ha da sempre occupato il primissimo posto nella lavorazione di tutte le mie specialità. Il dolce è un prodotto di piacere e quindi bisogna sempre pretendere il meglio degli ingredienti. Sulla “prima materia”, come la chiamo io, non si transige e non si risparmia! Io ho, per fortuna, dei fornitori di collaudata fiducia: la mandorla è a chilometro zero perché viene dai numerosi mandorleti della zona di Milena e dintorni – e ha un gusto eccezionale! – e grazie alla sua particolare oleosità è facilmente lavorabile; il pistacchio arriva dalla vicina Raffadali (AG) con la garanzia assoluta della bontà e qualità siciliana; la ricotta viene prodotta a Cammarata e Santo Stefano di Quisquina, due comuni di montagna dell’agrigentino rinomati per i verdi pascoli e l’ottima tradizione casearia. Utilizzo un miele d’arancio locale che è la fine del mondo. Per gli altri ingredienti necessari alla produzione: farina, latte, cioccolato, canditi… mi servo naturalmente dalle più referenziate aziende leader del settore. Le specialità più vendute sono quelle a base di mandorla e pistacchio: una grande e originale offerta di pasticceria secca frutto della mia arte di coniugare la tradizione con l’innovazione. Ma vanno molto bene anche cassate e cannoli e le torte di mia creazione. Ho riscosso un successone con la mia Bomba di ricotta e pistacchio, una torta a forma di cupoletta che riesce a sprigionare un sapore davvero squisito, grazie al felice accostamento dei gusti, alla preparazione del pan di Spagna e alla ricotta alleggerita con la panna. Molto gettonata è anche la Torta al limoncello dal gusto delicato e raffinato che esalta la conclusione di un menù a base di pesce. E poi ci sono le mousse al cioccolato, all’arancia, alla crema chantilly”.

Vorrei concludere la nostra chiacchierata con la descrizione del tuo locale e conoscere i sogni che custodisci nel cassetto.

“Sono orgoglioso del mio locale perché rappresenta un vero e proprio punto di arrivo. Oltre alla fantastica posizione nel cuore del paese soddisfa pienamente tutte le esigenze lavorative di cui avevo bisogno. L’architetto Antonio Cupani che ha curato il progetto è stato bravissimo a recepire i miei bisogni e i miei desideri. Ogni piccolo spazio è stato valorizzato sia a livello funzionale che estetico. Il locale è una delle case a tre piani che si affaccia sulla piazza Garibaldi ed è grande 540 mq. Al piano terra è in grande evidenza l’elegante sala vendita con i tre settori della pasticceria, gelateria e bar. Alle sue spalle ho voluto due laboratori con le celle frigo per i prodotti già finiti e le macchine per la gelateria. Al primo piano si trova il grande laboratorio di 120 mq con i vari angoli dedicati alle fasi della lavorazione comunicante con un’invitante saletta capace di accogliere una trentina di persone. E infine, al secondo piano si trovano due salette che si aprono a due terrazze frequentate soprattutto in estate per un totale di circa 120 posti a sedere. Sempre al secondo piano ho ricavato un funzionale magazzino di prime necessità, il mio ufficio e naturalmente i servizi. I tre livelli del locale sono serviti da un comodo ed elegante ascensore. Se apro il cassetto dei sogni, vedo innanzitutto che – per fortuna! – ne manca uno perché si è già realizzato: sognavo, infatti, soddisfazioni-riconoscimenti importanti. E avere ricevuto l’encomio da parte di “Pasticceria Internazionale” – la rivista più prestigiosa del settore dolciario – mi ha riempito di gioia. E poi è arrivato anche il riconoscimento del “Gambero Rosso” e il Premio “Best in Sicily” di “Cronache di Gusto”. Ma nel cassetto c’è ancora un sogno che vale per due: esaudire il desiderio delle migliaia di milocchesi emigranti aprendo con i miei figli una pasticceria ad Asti e ad Aix-les-Bains”.

 

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Salvatore Farina

Salvatore Farina

Salvatore Farina insegna Filosofia e Storia al Liceo Classico "R. Settimo" di Caltanissetta. Ama pensare e rincorrere le idee: tutte quelle che riesce ad acchiappare, le custodisce nel libro aperto della sua vita. E' così che ha imparato a scrivere e a fotografare. Nel 1997 scopre che la Sicilia è un'isola circondata da un mare di... dolci. Dopo averla circumnavigata quasi tutta, nel 2003 pubblica la storia - e la geografia - della Pasticceria e Gelateria Siciliana. Nel 2009 con quaranta pasticcieri fonda l'«associazione culturale della dolceria, pasticceria e gelateria siciliana» Duciezio, di cui ne diventa il presidente. Nel 2010 con la seconda edizione di "Dolcezze di Sicilia" vince il XXIII Premio "Orio Vergani" dell'Accademia Italiana della Cucina. Da oltre quindici anni, collabora con la rivista "Pasticceria Internazionale". Nel 2015 fa il suo esordio nella narrativa con "L'incredibile storia di don Turiddu u gazzusaru", un racconto lungo dedicato alla straordinaria vita di Salvatore Daidone, padre del maestro pasticciere Nuccio Daidone di Catenanuova.

3 Comments

  1. Filippo Grillo
    5 luglio 2017 at 11:55 — Rispondi

    A Milena sono legati i miei ricordi di bambino ospite delle zie e degli zii.
    Effettivamente le “robbe” erano a corredo di un centro che non era poi il…centro di “Milocca”, perché i centri erano dentro i singoli villaggi.
    Al Villaggio “Cavour”, dove venivo ospitato in casa degli zii Concettina e Lillo, la sera, quando uomini e donne si prendevano una fresca pausa dalla fatiche quotidiane, il proscenio era una piccola piazza e i posti a sedere gli scalini di casa propria. Io cantavo “Chitarra romana” e tutti ad ascoltarmi.
    Guardavo alle mani incallite dal duro lavoro di campagna dei miei parenti, degli amici, dei vicini.
    Ma aleggiavano sorrisi fraterni, tutti sapendo i guai e le gioie degli altri: un fidanzamento, una cresima, un prossimo matrimonio o di un padre o di una madre morenti.
    Quante porte listate a lutto da quella pezza rettangolare che diventava una bandiera a futura memoria, quando anche sulla giacca…perché il dolore non si esaurisse mai.
    E il pane di Milena? Quelle grandi pagnotte orlate dell’albume di uova e messe a cuocere su forni a legna: profumatissimi appena tolti dal forno e poi via via che qualche giorno trascorreva, ecco che lo stesso pane prendeva di un altro sapore, fino a quando un poco più duro ne aveva un altro indefinibile, speciale.
    Fu il primo forno a corrente elettrica che depistò massaie e gusti.
    Quel pane, se ancora lo si produce, dovrebbe avere una denominazione di origine; un altro vanto delle tante specialità siciliane e non solo.
    E i “cuddureddi” ? quei – collarini con dentro fichi e mandorle, noci tritate e chissà quante altre leccornìe ancora: Grazie, zia Concettina, ti ameremo sempre, sempre!
    Filippo Grillo

    • Salvatore Farina
      5 luglio 2017 at 15:43 — Rispondi

      Grazie Filippo per questo struggente ricordo: ritratto di un tempo lontano, costellato di sentimenti… veri. E’ molto bello vedere che tu continui a custodire nel tuo cuore quella magica atmosfera fatta di volti autenticamente umani, profumi e sapori.
      Anche se non conosco la zia Concettina, mi unisco al tuo ringraziamento.
      Salvatore Farina

      • Filippo Grillo
        5 luglio 2017 at 20:51 — Rispondi

        Grazie a te, Salvatore,
        Era un ‘oasi , Milena, di un piccolo paradiso di cui non ci accorgevamo nemmeno.
        Forse perché la semplicità degli abitanti era una pertinenza di quei luoghi.
        Purtroppo la nostra adorata zia non è più tra noi.
        Ma ti sono ancora più grato, perché con il tuo descrivere un frammento di un tempo a noi così caro, hai evocato immagini, suoni e profumi di cui la nostra memoria ancora si nutre.
        Filippo Grillo

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